Una questione di coscienza
Premessa
Per molti filosofi, il più grande scopo della vita è imparare a morire bene. Per Goethe, addirittura la morte è uno “stratagemma per ottenere molta vita”, che io traduco con “mettere vita nei giorni”. Osservando gli animali nel loro ultimo periodo di esistenza terrena, in quasi 45 anni di professione (ma non occorre essere veterinari per osservare), ho sempre visto in essi una tranquilla rassegnazione, potrei anche definirla una serena attesa. Non ho mai visto nei loro occhi la richiesta di tempi supplementari.
Al contrario, ho visto molte volte la non sopportazione delle persone di fronte al periodo di fine vita del loro cane o gatto: “non sopporto di vederlo così”, “non ce la faccio più a vederlo soffrire”, “è ora, dottore, finiamola qui”…
Mi rendo ben conto di entrare in un argomento delicato, ma l’affrontarlo può essere d’aiuto:
- a me perché, quando si svolge un tema, automaticamente si fa chiarezza in noi stessi dovendo meditarne i contenuti;
- a chi, stanco di ricevere avvertimenti, intimazioni e giudizi sulle proprie scelte, cerca conforto fuori dal coro.
Coscienza
La parola “coscienza” ha varie accezioni:
- nella maggior parte dei casi, rispetto all’operato o a una scelta, con questo termine si vuole stabilire un valore morale o il senso del bene o del male di un’azione; ciò porta ai più svariati giudizi da parte delle più svariate persone;
- se invece si vuole uscire dal giudizio, “coscienza” è semplicemente la consapevolezza che il soggetto ha di sé stesso e del mondo esterno con cui è in rapporto, della propria identità e del complesso delle proprie attività interiori [Treccani].
In riferimento a quest’ultimo punto, si può ben dire che ci sono infiniti livelli di coscienza, non uno equivalente a un altro, e determinati da diversi fattori (ambientali, famigliari, ereditari, geografici, ecc.)
La vita
Per molti arriva prima o poi un momento che impone una scelta importante e drastica, per se stessi o per un animale con il quale si convive: il momento di come affrontare il fine vita.
Siamo con ciò entrati in quel campo dell’esistenza caratterizzato dal livello di coscienza dell’interessato che dovrà attuare la scelta, come nel caso di una patologia grave con prognosi infausta.
Questo ci ricollega alla domanda del titolo che invita chiaramente a una scelta di ordine quantitativo opposta a una scelta di ordine qualitativo e tale scelta non dovrebbe essere giudicata, come non si dovrebbe giudicare il livello di coscienza di chi la attua.
Sempre più frequentemente, in un simile frangente, viene richiesto il mio intervento di omeopata e immancabilmente sottopongo la questione, perché dal punto di vista omeopatico (ma in generale delle discipline olistiche), può esserci solo una possibilità: mettere vita nei giorni.
La terapia per la vita
Pescando ancora nella visione goethiana, troviamo l’idea della metamorfosi in cui anche la morte rientra come una trasformazione e non è possibile comprendere ciò se non si considerano anche le componenti sottili dell’Essere Vivente, quelle che non subiscono la morte.
I Corpi Sottili degli animali sono il Corpo Vitale o Eterico e il Corpo Astrale o Animico. Il primo esprime il temperamento ed il secondo il carattere dell’animale; su questi si deve lavorare per l’accompagnamento con i rimedi, tenendo presente che anche l’atteggiamento di chi accudisce il soggetto lavora sul piano animico.
La consapevolezza di che cosa la morte fisica rappresenta e che i rimedi dell’Omeopatia costituiscono la terapia per la vita, che è eterna grazie ai Corpi Sottili (vedi anche Lo Spirito alla base della Creazione), dovrebbe stare alla base delle nostre scelte.
Si può scegliere con la propria coscienza se mettere più giorni nella vita o più vita nei giorni, vale per noi come per i nostri animali.