Riprendo un mio scritto pubblicato nella Rivista “Il Medico Omeopata” (n°22, aprile 2003) con le dovute revisioni. Dopo oltre vent’anni l’argomento è ancora molto attuale.

Anni ’80

Una bella sera di primavera, mi trovavo a cena a Bardolino, sul Lago di Garda, assieme a due miei ex docenti della Facoltà di Medicina Veterinaria di Parma, alla fine di un convegno sulla patologia suina. Uno di questi era il prof. Giovanni Ballarini, direttore dell’Istituto di Clinica Medica, noto a molti per il suo eclettismo e per la sua capacità di spaziare in ogni campo del sapere grazie alla sua prodigiosa memoria e capacità di collegamento logico.

Non so come, ad un certo punto della cena, l’eloquio di Ballarini si fissa sul concetto antropologico della “convivenza modificante”, quel fenomeno per cui due persone, dopo aver passato lungo tempo assieme, in stretta convivenza, finiscono per assomigliarsi anche fisicamente, come spesso si nota in coppie di coniugi anziani.

In sintesi, mentre in apparenza ciò sembrerebbe dovuto solo a un processo di omogeneizzazione del modo di parlare, di atteggiarsi, di assumere delle posture, di camminare, di esprimere il proprio stato con la mimica facciale, ecc., tutti fattori che influenzano i tratti somatici e li possono modificare nel tempo, in realtà c’è una causa più a monte di tali fattori.

L’omogeneizzazione di cui sopra è resa possibile da un’intesa profonda fra i due soggetti, un moto animico che ha determinato la scelta di convivenza, una complementarietà senza la quale non sarebbe possibile la modificazione somatica tendente a far assimilare l’uno all’altro.

Avrei potuto dire “assomigliare”, ma ho preferito la parola “assimilare”, perché richiama la similitudine, ancora e sempre lei, la risposta a molte domande sulla Vita e sui suoi fenomeni. Dall’interno all’esterno, dall’Anima al soma, secondo la direzione centrifuga, anch’essa una nostra vecchia conoscenza nell’esame del concetto di salute e malattia, che regola la Vita di ogni Essere.

L’Omeopatia c’entra sempre!

Insomma, dietro a tutto questo c’è l’Omeopatia, e non solo nel rapporto Uomo-Uomo, ma pure nel rapporto Uomo-Animale. Tutti ricorderanno il prologo del fortunato film di animazione della Disney, “La carica dei 101”, che magnificamente illustra tali concetti nel presentare una squisita passerella di proprietari di cani, la cui caratteristica era una strabiliante similitudine tipologica. A quelle se ne possono aggiungere di più attuali, anche con i gatti.

                                                                                                        

Al di là della divertente galleria di immagini, le emozioni dell’Uomo influiscono sull’animale che con lui vive, con la differenza che l’Uomo le proietta anche nel futuro e l’animale no, perché esso vive in perfetto stile zen, “qui e ora”… e questo dovremmo proprio impararlo!

L’animale risulta sensibile al nucleo temperamento/carattere del proprietario, lo abbiamo visto e sperimentato in moltissime occasioni, e non è un caso che i nostri cani e gatti abbiano assunto la predisposizione alle stesse nostre patologie, da quando cioè sono passati dallo stato “animali da lavoro” (caccia, ricerca, salvataggio, ecc.), o “da aia”, a membri della comunità e quindi a stretto contatto con le dinamiche famigliari.

Avevamo già scritto in una precedente lettura che siamo debitori nei confronti degli animali che nel percorso evolutivo si sono sacrificati per permettere il completamento della nostra evoluzione e così noi abbiamo la parola ed a loro abbiamo lasciato il “verso”. Sempre più frequentemente, nella mia pratica, conosco cani e gatti che comprendono perfettamente le parole, purché abbiano un proprietario che parli loro con Amore: essi bramano che gli si parli e non è più il tempo degli ordini secchi, magari in tedesco. D’altra parte come ci comportiamo con gli altri componenti famigliari?

Occorre allargare la visione terapeutica

Il ruolo del Veterinario Omeopata è capire “cosa vale la pena di curare” nel paziente, perché la salute è uno stato di minor malattia (siamo mortali!), e quindi non si può avere la pretesa della perfezione terapeutica, ma se ci si accorge che la malattia del cane o del gatto dipende dal proprietario (non dimentichiamo che i nostri animali non possono decidere di andarsene da casa e di cambiare vita), ovviamente del tutto incosciente di ciò, occorrerà considerare la necessità di intervenire su tale causa.

Il compito del vero Terapeuta è cercare le cause e possibilmente intervenire su esse, non fissarsi solo sugli effetti.