Gentilissimo dott. Brancalion,

le invio, sperando di farle cosa gradita, il diario che ho pubblicato su un forum di amici relativo alla mia gattina. Nient’altro che un piccolo divertissement letterario, senza alcuna pretesa.

Ringraziandola ancora, le porgo cordialissimi saluti.

Giovanni


Il mio primo post…. che emozione!

Dunque, un mio amico mi dice: “Vieni su questo forum che c’è solo gente in gamba e divertente.” Non ha aggiunto “molto più di te”, e quindi mi sono detto ok vado! Tanto che ci perdo?!

Arrivo qui e mi trovo quello che parla di Fioroni (che palle, sono tutto il giorno a scuola e me lo ritrovo anche qui), quell’altro che parla degli insegnanti di religione (che non li posso vedere né ascoltare, figurati se ci ragiono pure sopra); un altro che parla di politica…
Per non fare brutta figura allora ho deciso di parlare del mio gatto, ma mi accorgo che questo è il posto sbagliato e quindi mi trasferisco nel topic giusto.

Allora vi parlo della mia gattina rossa che ho trovato circa un anno fa nel mio parcheggio sotto casa. Non stava molto bene ma piuttosto che sotto una macchina meglio sotto-casa.

Un musetto delizioso totalmente impiastricciato di muco verdastro che le arrivava fino agli occhi.
La facile diagnosi fu “ha un brutto raffreddore, ha fame-sete, cacca, pipì, ti voglio bene omone alto con i capelli lunghi.”

L’ho portata temporaneamente in garage per non provocare rivolte feline (ho altri due gatti) e umane (vivo da molti anni con la mia ragazza che però non si è ancora abituata a me, figurarsi a questo mostriciattolo peloso).

Dunque, la prendo con ogni cura, visto lo stato miserando delle sue condizioni, la nomino benauguralmente Stella e la metto senza indugio nel mio accogliente box macchina, non mancando di rifornirla di abbondante cibo, acqua, lettiera e calorosi saluti.

Dopo una struggente mattina di lezione, torno nuovamente a casa e noto con piacere che Stella dimostrava una intelligenza davvero straordinaria: aveva mangiato con voracità tutta la pappa, bevuto con gusto la sua acquetta, aveva riempito la lettiera di una quantità impressionante di meravigliose cacchine e, cosa ancora più stupefacente, mostrava una evidente simpatia per l’omone alto con i capelli lunghi che riempiva nuovamente la ciotola del cibo, svuotava e riempiva quella dell’acqua e provvedeva a rimuovere dal suo piccolo universo (purtroppo solo da quello) tutti i piccoli stronzetti che le avevano dato tanto incomodo intestinale.

Devo dire che una volta ripulita cominciava a onorare anche dal punto di vista estetico il nomignolo che le avevo affidato.

La presentai allora anche alla mia ragazza che iniziò una lunga e sommessa sequela, di “picci-picci”, “pocci-pocci” e gridolini di ammirazione per la prodigiosa intelligenza della micetta; Stella, da parte sua, non mancò di elargire anche a lei tutto il suo ricco repertorio di miagolii, strusciamenti, fusa e accorate rassicurazioni.

Dove si racconta che Stella (bella buona e intelligente) conosce il VETERINARIO

Il passo successivo fu naturalmente quello di portarla dal veterinario, un simpatico giovanottone che un giorno mi predisse che il micino che avevo raccolto due mesi prima era davvero troppo piccolo per riuscire a sopravvivere: aveva ragione ma ci rimasi male lo stesso. Ora aveva la possibilità di riabilitarsi ai miei occhi!

Devo dire che Stella si comportò benissimo con lui: fece tutto quello che una gattina sensata può fare per ottenere ciò che noi umani, io e la mia ragazza, chiamiamo comunemente “sconto”: strusciò, leccò, fusò, pazientò, ingurgitò.
Eravamo entrambi fieri di lei e quando ce la restituì eravamo sempre più convinti che fosse una gattina davvero straordinaria.

Il bravo medico osservò che il raffreddore non era ancora guarito e prescrisse alcune semplici cure, unitamente all’avvertenza di non farla entrare ancora in contatto con gli altri due animaletti pelosi con i quali condividiamo la nostra casa, letto compreso.

Io e la mia ragazza ci guardammo intensamente e con gli occhi umidi di commozione e giusto orgoglio giurammo con voce ferma e virile (questa solo io), mano sinistra sul cuore destro, che mai e poi mai avremmo fatto una cosa simile prima che fosse passato il mese necessario per poter eseguire i test e verificare che non avesse il virus della Immunodeficienza Felina o quello della Leucemia Felina.

Una settimana dopo Stella entrava trionfalmente nel nostro appartamento accolta dagli schiamazzi indecenti, e da alcuni cori a sfondo razzistico, con i quali le due adorabili creature pelose le ricordarono le dubbie origini aristocratiche dei suoi numerosi parenti, alcuni dei quali auspicabilmente morti, e le sicure propensioni sociali della sua sconosciuta mamma.

Dove si spiega come fare gli aerosol ai gatti

Appena entrata nell’appartamento stabilimmo subito rigide regole riguardo al fatto che non dovesse mai (dico: mai!) uscire dalla cameretta che le era stata assegnata: ella promise con ogni riguardo che avrebbe mantenuto la parola, e tanto ci bastò.

Naturalmente lo studio dovette essere dotato di ogni comfort, compresa una capiente lettiera che ella provvedeva a riempire con un entusiasmo e una generosità che io non mancavo di apprezzare.

Il motivo che ci costrinse a questo azzardato passo fu il fatto che, nonostante le amorevoli cure, il brutto raffreddore non mostrava segni di miglioramento.

Il pediatra, volevo dire il veterinario, prescrisse dunque una energica terapia antibiotica da somministrare con aerosol quotidiani. La mia imbarazzata perplessità sulla possibilità di ottenere dalla adorabile e intelligente micetta tale prodigiosa disponibilità, venne subito spazzata via dal bravuomo che mi spiegò la procedura:

1.prendere la gattina,

2.metterla con ogni riguardo (o anche nessuno, se il caso) dentro la cassetta apposita,

3.chiudere la cassetta dentro un capiente sacco dell’immondizia (di quelli condominiali, per intenderci),

4.chiudere accuratamente il sacco lasciando giusto l’apertura necessaria per infilarci il boccaglio dell’aerosol,

5.attivare la macchinetta e aspettare il tempo necessario.

L’unica raccomandazione fu quella di non fare confusione nelle fasi iniziali perché perfino una gattina poco sveglia coglie senza troppa difficoltà la sostanziale differenza tra una cassettina per mici ultra griffata e un sacco della spazzatura.

Anche in queste occasioni Stella confermò il suo buon carattere e, pur con sempre crescente riluttanza, accettò il laborioso procedimento quotidiano.

Riuscì persino a non scomporsi quando l’altro maschio di casa, il gattone peloso che non sono io, cominciò a guardare con maligna soddisfazione lo scomodo procedimento cui veniva sottoposta quotidianamente la povera Stella; il suo interesse era ancora più vivo quando, al termine del trattamento veniva aperto il sacco ed ella usciva, un po’ stranita, in mezzo a una nuvola di vapore medicinale. Il sadico divertimento che provava a quella vista si trasformò a poco a poco in divertimento e poi in una sorta di tenero piacere.

Alla fine il sentimento prese il sopravvento e cominciò a trattarla in maniera amichevole.

Si, perché anche se era chiaro che lei non doveva uscire dalla stanza, un piccolo premio le veniva concesso alla fine di ogni seduta: una breve (o anche no) scorrazzata per l’appartamento che Stella impiegava per saltare in ogni anfratto sopraelevato che trovava e per saccheggiare senza pietà le abbondanti riserve di cibo che trovava nelle ciotole degli altri due mici.

Su quest’ultimo punto devo dire che anche Piccolo, il peloso di cui sopra, contraccambiava di gusto e non mancava di rimpinzarsi quanto più possibile dei deliziosi crocchini “Puppy” che trovava nella ciotola di Stella. Non mancava infine di ricordare le gerarchie lasciando voluminosi ricordi intestinali nella lettiera di Stella.

Insomma, dopo qualche giorno potevamo dire che i due avevano trovato una buona intesa.

Eh va bene, visto che insistete, proseguo la avventurosa storia di Stella gatta intelligente eccetera.

Dove si racconta del terribile segreto finalmente svelato

Tutto procedeva dunque per il meglio, tranne il non trascurabile particolare che lo studio, ora stanza dei giochi, delle pappe, delle cacche e dei riposini, appariva ovunque disseminato di schizzi verdastri provocati dai sempre più frequenti sternuti di Stella.

Per carità, non che mi desse particolare fastidio; ma quando cominciai a trovarli anche sullo schermo del computer decisi che forse era il caso di riportare l’adorabile bavosa dal veterinario, volevo dire dal pediatra, per capire come mai, nonostante i quotidiani trattamenti suffumigici il raffreddore non si decidesse a concederle un po’ di requie.

Il galantuomo assunse un’espressione adeguatamente assorta quando gli ricordammo che ormai era più di un mese che la poveretta veniva trattata con ogni sorta di medicinale antibiotico e ancora non si riusciva a interrompere lo schifoso flusso essudativo che scendeva copiosamente dall’adorabile nasino.

Un po’ alla volta la sua espressione pensierosa cominciò a preoccuparsi e azzardò finalmente l’ipotesi che forse erano necessari ulteriori controlli.

Ben felici di donargli ulteriori svariati euri decidemmo che, sì, era forse il caso.

Dopo un’ora venimmo finalmente a sapere che l’adorabile gattina era portatrice insana della terribile LEUCEMIA FELINA.

Tre pensieri si presentarono con discreta lentezza nella mia mente confusa:

– primo: povera Stella, morirà senza neppure aver davvero vissuto;

– secondo: anche gli altri due gatti, con i quali aveva nel frattempo avuto ogni sorta di affettuosità omo/eterosessuale, sono stati contagiati;

– terzo: sono un imbecille.

Rinviai ogni decisione riguardo all’ultimo punto e decisi di passare risolutamente agli altri due.

Era evidente che Stella non poteva più restare nella nostra casa e, siccome il suo destino era in ogni caso segnato, la affogai immediatamente nel lavandino e gettai il suo corpicino nel cassonetto dell’immondizia (quello dell’umido però, perché amo la natura e sono ecologista).

AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH!

Ci avete creduto, vero!?

AHAHAHAHAH!!! Che ridere!

Vi ho fatto un bello “schersetto”! (cfr. punto tre dell’elenco precedente)

Come dicevo…

Rinviai ogni decisione riguardo all’ultimo punto e decisi di passare risolutamente agli altri due.

Era evidente che Stella non poteva più restare nella nostra casa; siccome, fortunatamente, dietro a ogni figlio scemo c’è quasi sempre una mamma per bene, chiamai subito la mia (e quale sennò?) e le chiesi di prendere a pensione completa la adorabile Stella, fino a quando non avessimo capito cosa fare.

Non dico che fu felice della richiesta ma non so perché (anzi lo so, ma preferisco non dirlo qui) provò subito un sentimento di profonda simpatia e intesa, insomma immedesimazione, per la sfortunata situazione della piccolina.

La sistemammo alla bell’e meglio in una stanza della sua capiente casetta di campagna, le accendemmo la stufa, perché ormai l’inverno aveva già inviato i suoi gelidi messaggeri (bellina questa figura poetica…, sissì….) e, nell’attesa di riordinare le idee, ci dedicammo alle altre due adorabili creature che aspettavano ansiosamente di conoscere il loro destino.

Dove si racconta come salviamo da morte sicura i due adorabili pelosi casalinghi (!)

Il primo problema che affrontammo fu quello del destino di Piccolo e Pulce: vivendo in appartamento avevamo deciso a suo tempo di risparmiare i soldi della vaccinazione contro la leucemia.

Ora era arrivato il temuto giorno in cui potevamo cominciare a pentirci della nostra miserabile tirchieria.

Nel penoso tentativo di chiudere la porta solo dopo una generosa scarica diarroica (bellina questa immagine non troppo poetica, sissì…), chiedemmo infantilmente al veterinario se poteva servire a qualcosa farla adesso. Non ci rise in faccia solo perché avevamo le lacrime agli occhi.

Ci consultammo dunque con una nostra cara amica, molto più gattara di noi, che si consultò con il suo veterinario che si consultò con un suo collega che guardò in un librone che comprò…

Ci disse di dar loro per quaranta giorni (il periodo finestra durante il quale la malattia può insediarsi) un prodotto “omeopatico” che negli umani serve per stimolare le difese immunitarie dei soggetti immunodepressi.

Il prodotto non aveva nulla di omeopatico nel prezzo e, per quanto sapemmo poi, neppure nella formulazione medicinale.

Cercammo comunque di spiegare ai due adorabili soggetti che il prodotto che sparavamo loro in bocca con implacabile puntualità era per il loro bene, ma dopo alcuni giorni dimenticarono ogni spiegazione e cominciarono a mostrare qualche segno di nervosismo.

L’effetto “pappa” che seguiva e brevissima distanza la laboriosa somministrazione contribuì non poco a contenere gli indesiderabili effetti secondari che ne sarebbero potuti scaturire (Piccolo, nonostante il nome, è tutt’altro che innocuo: è capace di fare a fette chiunque si permetta confidenze non gradite. Ne sa qualcosa un nostro carissimo amico, che si riteneva un esperto conoscitore dell’ammaestramento felino: “ci vuole fermezza e decisione!”, sosteneva lui. La dimostrazione pratica che ne seguì non trovò il consenso di Piccolo e riuscimmo solo a fatica a staccare le unghie e i denti dal sanguinolento braccio dello sfortunato amico. Non preoccupatevi, ora chiudo la parentesi rotonda).

Dopo quaranta giorni di straziante attesa il veterinario ci diede l’attesa buona notizia: Piccolo e Pulce non erano stati contagiati. Il nostro sollievo, personale ed economico, fu inferiore solo al loro quando realizzarono che la noiosa terapia era finalmente terminata.

E Stella?

Dove si racconta che sappiamo del bravo veterinario

Dunque, i nostri gatti domestici erano salvi dopo una svenante cura a base di un alchemico prodotto che, a giudicare dal costo, derivava direttamente dalla mutazione dell’oro in acqua fresca.
Stella nel frattempo dolcemente languiva nella sua non lussuosa dimora di campagna/prima periferia della amena cittadina ove noi risiediamo. Non era lussuosa, questo è sicuro, ma tuttavia sufficiente per garantirle una quieta esistenza: ogni mattina e sera andavamo ad accenderle la stufa a legna per assicurare un confortevole clima domestico di 16 gradi, più che sufficienti per un animalino peloso. Il vitto quotidiano veniva assicurato dalle periodiche visite dall’adorabile “signora gentile” che, al pari dell’ “omone alto con i capelli lunghi” le assicurava vitto/alloggio/mangiare-bere/coccole (queste ultime importantissime, come sapete).
Mancava la cosa più importante, cioè una decisione sul suo futuro. Dopo l’iniziale smarrimento mi ripresi benissimo e cominciai a fare le mie ricerche.
Internet fu molto utile per tramutare il mio iniziale sconforto in autentica disperazione: saccheggiai diversi siti gattofili colmi di struggenti necrologi per la prematura scomparsa di adorabili creature leucemiche; quelli più specializzati fornivano anche alcuni suggerimenti terapeutici che, dopo una fugace visita dal veterinario, esclusi per ragioni squisitamente morali (150 eurini al mese per una terapia solo contenitiva mi sembravano troppi, anche in considerazione dei milioni di umani che con quei soldi campano un anno).
Tentai anche con le adozioni caritatevoli da parte di qualche generoso amante dei gatti che accettasse di assicurare alla poveretta una decente, seppur limitata, vita sociale: nessuno fu disposto ad accollarsi il rischio di una pandemia leucemica tra i propri gatti (neppure la “signora gentile” che di gatti ne aveva altri quattro, tutti vaccinati).
Feci infine un ultimo disperato tentativo dal mio medico ed arrivai a chiedergli se non ci fossero case farmaceutiche che volessero sperimentare terapie alternative per la cura della terribile malattia: mi rispose in tutta sincerità che sarebbe stato meglio per lei morire secondo il suo naturale destino.
Mentre diceva queste sinistre (ma vere!) parole, una strana luce illuminò i suoi occhi…
– Ci sarebbe…
– Ci sarebbe? -chiesi io
– Ci sarebbe -riprese lui- un veterinario…
– Siiiiiiiiiii…? -lo incoraggiai io
– Un veterinario -continuò lui- omeopata
– Ci sarebbe o c’è? -m’informai io
– C’è -assicurò lui
– C’è! – esclamai io
– C’è. – confermò lui

C’era.
Vicino a casa nostra, mica a Lourdes o a Monterotondo; mica a Calcutta da nonna Teresa; mica a Roma o San Marino; nemmeno in Nepal.
Nossignori. A cinque, diconsi 5, chilometri (o Kilometri, chenesò, in quel momento capite bene…) da casa nostra.

Fu un signore, devo ammetterlo: stava perdendo un sicuro cliente ma dava una altrettanto reale possibilità di vita a uno sgorbietto rosso pieno di pelo e catarro verdastro.
Ci diede il nome e anche il cognome.
Anche la via.
E una compassionevole pacca sulla spalla di chi pensava di curare l’equivalente di un cancro umano con ciò che qualsiasi medico avrebbe definito senza timore di essere smentito “acqua fresca, appena un pochino sporca, ma neanche tanto”.

Dove finalmente si dice che Stella guarisce!

Senza por tempo in mezzo ci recammo repente dal savio omeopata che tanto giovamento avrebbe arrecato alla macilenta creatura.

L’approccio fu quanto di più bizzarro mi sia mai capitato di vedere (a parte, si capisce, il mio esordio letterario del paragrafo precedente): appoggiò la gabbietta sul tavolo e aspettò che la piccolina trovasse il coraggio di uscire; quindi chinò il grande e sapiente testone pelato verso di lei che, non facendoselo ripetere due volte, incominciò a strusciarvicisi (vitisichi…) contro, con sua grande gioia (del veterinario) e nostro mal represso imbarazzo (il muco verdastro lo aveva ancora, nonostante le frequenti ripulite).

Stella alla prima visita

Una rapida visita confermò le nostre pessime previsioni: Stella cominciava a gonfiarsi come una zampogna perché tutti i suoi poveri linfonodi si ribellavano come potevano a una leucemia ormai conclamata; il fatto che non perdesse il buon umore e la vivacità era l’ulteriore riprova del suo buon temperamento.

Il valent’uomo ci spiegò subito che l’impresa sarebbe stata tutt’altro che facile, in considerazione della giovane età della bambina e della gravità dell’infezione. Ci disse comunque che avrebbe fatto il possibile e anche noi ci dicemmo che lo avremo fatto. Stella ci chiese con un languido sguardo di fare il possibile…

Per chi non ha mai fatto cure omeopatiche vere (non quelle fasulle che danno in erboristeria) deve sapere alcune cose fondamentali:

  • le medicine omeopatiche costano davvero poco (con ciò confermando, nei più sprovveduti, la pessima fama che hanno in relazione alla loro efficacia);
  • l’omeopatia non cura la malattia ma il soggetto malato;
  • funziona meglio con gli animali, che non hanno preconcetti di natura filosofica sulla medicinaalternativa, ma naturalmente non potendo spiegarsi altro che a gesti, gran parte della responsabilità della scelta della cura dipende dai proprietari che devono spiegare al curante la tipologia caratteriale dell’animale.

Ci dedicammo con gran foga a colmare le lacune conoscitive del bravo medico descrivendo con ogni minuzia (e distaccata obiettività) il buon carattere di Stella unito a una intelligenza fuori del comune associato con una bellezza e vivacità intellettuale sorprendenti per la sua età; descrivemmo con entusiasmo i suoi numerosi interessi (osservare le foglie che cadono, cercare di afferrare le gocce d’acqua che cadono dal rubinetto, mangiare/dormire/cacca/pipì eccetera eccetera).

Egli pensosamente annuiva e a ogni nuova informazione sfogliava una nuova pagina di un voluminoso librone.

Dopo una buona mezz’oretta, sfinito ma soddisfatto, ci fece veder finalmente il tanto agognato rimedio: a prima vista sembrava esattamente “l’acqua sporca, ma mica tanto” che tutti considerano essere il medicinale omeopatico. Ci prescrisse le modalità di somministrazione e i tempi, piuttosto lunghi, la frequenza delle visite di controllo, gli accorgimenti da osservare durante la cura e il suo onorario… (non così omeopatico ma neppure scandalosamente alto; e poi che ci frega: lo detraiamo dalle tasse noi!)

Iniziò così il periodo più grigio della breve vita di Stella: due volte al giorno, tutti i giorni, le sparavamo in bocca la sua bella acquetta fresca; cinque minuti di coccole appassionate alla mattina, poi via al lavoro, un’ora di coccole struggenti alla sera, poi via a nanna, saltuarie ma altrettanto appassionate visite della gentile signora durante il giorno. Come unica compagnia le sommesse trasmissioni di Radio3 (anche se non poteva ovviamente andare a scuola con tutte le sue amiche, volevo che si facesse comunque una cultura umanistica adeguata).

Le cure procedevano giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese.

Anche le visite di controllo procedevano giorno dopo eccetera.

L’espressione solenne del vate non cambiava, ma ogni tanto decideva di cambiare medicinale e di passare a qualche altra formulazione.

Stella manteneva il suo buon umore e anche il suo povero nasino continuava a riversare imbarazzanti rivoli, ma questo non preoccupava il buon uomo (non altrettanto la gentile signora che ormai si ritrovava la stanza completamente disseminata di spruzzi verdastri).

Passò l’inverno e i primi tiepidi raggi di un benevolente sole primaverile lambirono anche il sanatorio dove languiva la povera Stella (sigh!, scusate…).

Dopo l’ennesima visita finalmente un raggio di sole attraversò anche il viso solenne del buon mago, volevo dire del veterinario: i linfonodi erano completamente rientrati nella normalità, la bronchite maligna era del tutto guarita, il muco verdastro era nient’altro che una naturale valvola di sfogo con cui il fisico espelleva le tossine accumulate, Stella era tecnicamente guarita.

STELLA ERA GUARITA

Realizzammo solo a fatica il significato misterioso e criptico delle parole.

Guarita?

Beh, tecnicamente lo era: una cuccioletta con una leucemia felina del tutto asintomatica si definisce così.

Poteva uscire? Poteva uscire.

Potevamo smettere di tenerla isolata? Perché no!?

Correre, saltare, giocare, cacciare lucertole? Certo!

Andare a scuola, uscire con le amiche, trovarsi un bravo ragazzo? Cominciò a capire che anche noi avevamo bisogno di qualche curetta…

Era tecnicamente guarita; se in futuro avesse avuto altri problemi si riprendeva la cura e basta.

Uno splendido giorno di primavera del 2007 Stella è uscita per la prima volta nel giardino della sua nuova casa, si è arrampicata su un albero e da allora non è più scesa…

Volevo dire che non ha mai più smesso di farlo.

Tutti i gatti della “colonia” (già sterilizzati e vaccinati, ben s’intende) l’hanno accettata con entusiasmo.

Tre mesi fa l’abbiamo portata a sterilizzare e per la prima volta abbiamo fatto le analisi dopo la cura: ha i globuli bianchi un po’ bassetti, ma, in fin dei conti, per una leucemica è abbastanza naturale.

Un mesetto fa il sant’uomo ha sentito un nodulino un po’ più grosso: ha prescritto un’unica somministrazione di acqua santa e anche quello è rientrato.

Il nasino è pulito come il culetto di un bambino appena lavato.

Anche la gentile signora sta bene e ci fa piacere pensare che un po’ di merito sia anche di Stella.

Questa è una storia incominciata male ma che sta andando bene.

Anche questo serve nella vita.

Grazie Stella, ti vogliamo tanto bene anche se sei solo un batuffolone peloso.