Sembra un titolo partorito dalla mente di Giovanni Guareschi (e forse non è casuale che anche il nostro gattofilo si chiami Giovanni), ma in realtà è una storia vera dello stesso autore del Diario di un professore di musica che, bontà sua, dimostra così la sua riconoscenza all’Omeopatia. Questa specie di proprietari sono una pacchia per il Terapeuta! Come si vede, infatti, sono in grado descrivere i dettagli peculiari e dare l’immagine essenziale del soggetto.

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Piccola premessa

Non è facile iniziare una storia esattamente da metà: bisogna che lo scrittore sia molto bravo e la storia davvero bella. A voi è andata male perché qui si verifica solo una di queste condizioni. Lascio alla Vostra benevolenza decidere quale.

L’arrivo di Piccolo 2

Piccolo 2 è un gattino che arrivò cucciolo nella nostra casa assieme al fratello. La madre, una gatta semi selvatica, o semidomestica se preferite, aveva figliato un numero imprecisato di gattini bisognosi di un affidamento presso famiglie sicure e sufficientemente esperte.

Noi lo eravamo. Li tenemmo un mese chiusi in una stanza per abituarli al brusco passaggio da un ridente giardino a un signorile appartamento di città; ogni volta che entravamo per la razione di pappa e coccole li trovavamo immancabilmente abbracciati uno all’altro e quando si muovevano procedevano in fila indiana (Piccolo 2 però era sempre dietro…). Ottenemmo l’affido a tempo indeterminato dei due fratelli e lietamente cominciammo a dedicarci alla loro educazione.

L’arrivo di Piccolo 1

L’arrivo di Piccolo 1 invece fu più avventuroso (e di questo, credo, ci perdonò solo in tarda età).

La prima volta che lo adocchiai fu circa vent’anni fa: uno sgorbietto di neppure in mese fermo in mezzo alla strada che fissava una macchina in arrivo. Quando il guidatore fortunatamente inchiodò, Piccolo 1 continuava a guardare impassibile la morte annunciata e fortunatamente rinviata (di molti anni). La sua fortuna si mise momentaneamente in pausa, perché l’automobilista che non lo aveva investito voleva solo evitare di sporcare la sua bella macchina: prese infatti lo sgorbietto e lo buttò senza tante cerimonie nel cortile della scuola in cui insegnavo.

La fortuna riprese il suo corso dopo qualche secondo: avevo assistito alla scena e senza pensarci troppo scesi in giardino, presi lo sgorbietto e lo rinchiusi in una stanza in cui rimase fino alla fine delle mie lezioni. Finita la mattinata me lo portai a casa. In moto. Chiuso a chiave dentro il bauletto. Un viaggio di circa mezz’ora.

A metà strada mi assalì il dubbio che morisse soffocato, quindi mi fermai e controllai: fui accolto da due occhi fiammeggianti e un rabbioso miagolio che riassumeva un numero imprecisato (e irripetibile) di parolacce rivolte a me, al tizio dell’automobile, alla vita nel suo complesso e alle moto in particolare. Credo ci fosse di mezzo anche sua madre.

Entrava in casa dopo due giorni dalla morte di Silvietta, un amore di gattina che dormiva abbracciata a noi e aveva come gioco preferito quello di riportarci la pallina che io e Roberta le lanciavamo. Purtroppo non si dimostrò abbastanza intelligente da schivare le due o tre auto che passavano ogni giorno davanti a casa nostra: la trovammo dentro una pianta del giardino con il naso rotto. Nient’altro, ma bastò per portarcela via.

Nella mia giovanile ingenuità speravo che Piccolo 1 ci avrebbe aiutato a superare lo strazio di quella prematura separazione, ma lui, almeno inizialmente, non era dello stesso parere.

L’educazione di Piccolo 2

Superato il periodo di ambientamento, stabilimmo di aprire la stanzetta in cui avevamo confinato i due fratelli per presentarli finalmente alla governante di casa, Pulce, che durante i vent’anni al nostro servizio ha maturato un carattere severo ma giusto, un comportamento equilibrato e deciso, un animo dolce e accogliente quanto può esserlo quello di un sergente di battaglione d’assalto (in tempo di guerra…).

Potevano essere anche dieci contro una, ma fece subito capire le regole della casa: si mangia agli orari stabiliti, non si graffiano i mobili, voi non siete nulla di più che ospiti non invitati da me.

I due fratelli sono molto diversi tra loro; anzi, non ho mai visto due fratelli così diversi. Piccolo 2, in particolare, è un ragazzotto di buon carattere e poche pretese: dove lo metti sta, mangia quel che c’è, accetta le coccole e dal punto di vista sociale non è particolarmente ambizioso. Tutto il contrario del fratello che invece è intraprendente, vivace, curioso, molto loquace e raffinato, nonché esigente e buongustaio.

Pulce li inquadrò senza alcuna apparente difficoltà e li tenne d’occhio con implacabile severità per diversi giorni. Piccolo 2 cedette quasi subito e lo fece in modo sublime: strisciò davanti a lei, pancia a terra, chiudendo gli occhi e girando la testa dalla sua parte in modo da esibire la gola. Pulce ne fu conquistata e da allora lo gratificò quotidianamente di una dose generosa di leccate sulla testa e sul naso. Il fratello non cedette e ancora oggi i rapporti con la Dirigente sono improntati a un sano cameratismo e onesto spirito di collaborazione.

Piccolo 1 e l’educazione degli umani

Di solito, quando un animale arriva a casa si stabiliscono le regole. Piccolo 1 lo fece al posto nostro e stabilì due semplici princìpi: i gatti hanno sempre ragione; gli umani (quasi) mai.

Ingurgitò in tempi molto brevi due intere ciotole di crocchini (per adulti; quelli avanzati dalla povera Silvietta); poi cominciò a correre come un indiavolato per un’oretta buona; infine si bloccò di colpo, occupò il nostro divano e dormì per molte ore. Quando si svegliò chiese nuovamente i crocchini che divorò come sopra, quindi iniziò l’esplorazione seria del suo luogo di reclusione; nuovamente infine, si attaccò al divano dove aveva dormito e con poderose unghiate stabilì che quello era suo. Nel corso della sua lunga permanenza ribadì più volte che tutto quello che era lì dentro aveva cambiato proprietario, ma per il divano aveva una passione davvero selvaggia e irrefrenabile.

Mangiava appena poteva e quello che voleva, e noi eravamo ingenuamente soddisfatti del buon appetito, ma una notte ci fece cambiare idea: mi svegliai vedendo una lucetta provenire dalla cucina e piuttosto risentito rimproverai Roberta di aver lasciato la luce accesa (con quel che costa!). Sentire brontolare -Quale luce?- e scoprire che la porta del frigorifero era spalancata richiese solo pochi secondi, esauriti i quali cominciai a sentire un ringhio straordinariamente minaccioso provenire dallo studio: Piccolo 1 si era rifugiato sotto la scrivania e addentava ferocemente un sacchetto di scadenti gnocchi da supermercato appena prelevato dal frigorifero.

Dopo alcuni giorni scoprimmo la sua intelligente tecnica: si stendeva sulla schiena e con entrambe le zampe anteriori apriva la porta forzando la chiusura della guarnizione (che infatti dopo pochi mesi era completamente distrutta). Purtroppo per noi aveva una intelligenza adeguata al suo pessimo carattere. Sapevo che usava i denti e le unghie con abilità, determinazione e in maniera estremamente distruttiva, quindi non ebbi il coraggio di riprendere il sacchetto a mani nude e per l’unica volta in vita mia usai la ciabatta, facendogli capire che la regola due veniva eccezionalmente applicata nei termini a noi favorevoli. Alla seconda ciabattata che gli arrivò, scappò opportunamente a gambe levate mollando la preda.

Non fui contento di ciò che avevo fatto quindi, di comune accordo (con lui…), decidemmo di stabilire una terza regola: non serve rubare, basta chiedere. Da quel giorno, senza fare troppa pubblicità con i nostri amici, gli fu accordato il permesso di mangiare con noi e valutare la qualità della nostra cucina con diversificati assaggini prelevati dai nostri piatti e recapitati con affetto nella sua boccuccia avida. Mangiava con noi, alla lettera; trionfalmente collocato sulla nostra tavola.

Era molto intelligente, questo l’ho già detto. Quando invitavamo degli amici, mettevamo la tovaglia e lui sapeva che NON doveva salire sulla tavola (tovaglia… ciabatta… tovaglia… Capito? Capiva tutto e subito!). Non si permise mai di farlo e noi stupidamente pensavamo di avere ottenuto una piccola vittoria.

Pulce

Ho letto da qualche parte che i gatti hanno 276 espressioni facciali. La prima volta che incontrai Pulce, lei di espressioni facciali ne aveva solo tre che corrispondevano alle domande: chi sono io; che ci faccio qui; e soprattutto: perché?!

Siccome anch’io mi sono fatto numerose volte queste domande senza riuscire a trovare una risposta, ci scambiammo un rapido sguardo di reciproca commiserazione e la portai nell’appartamento dove trovò Piccolo 1 che le fornì rapidamente la soluzione che cercava: tu non sei niente e nessuno; sei qui perché adesso te ne vai perché lo dico io.

Tentai un bluff e gli dissi che mi aveva autorizzato l’Amministratore. Siccome avevo usato la lettera maiuscola, Piccolo 1 concluse che mi stavo riferendo al Grande Gatto creatore di tutti i crocchini e le scatolette e ne fu adeguatamente impressionato. Acconsentì che rimanesse come sua signorina di compagnia e di servizio. Pulce non contrattò: con compostezza, dignità e grande eroismo ricoprì questo ruolo per 15 anni di onorato servizio.

Il congedo di Piccolo 1

Nel tempo, questo va detto, Piccolo 1 ammorbidì alcune spigolosità del suo carattere e riuscì persino a mostrare il suo affetto nei miei confronti (ero pur sempre il suo salvatore). Quando, per esempio, mi soffermavo oltre l’orario di pranzo davanti al computer, saliva sulla scrivania si metteva esattamente tra me e il computer, guardando me e bloccando il lavoro. Era il segnale che dovevamo (entrambi) andare a mangiare. Il problema era sempre il cibo: mangiava con gusto, passione e voracità; talvolta anche per fame.

Alla fine il suo destino fu segnato: a tredici anni cominciò a star male e la facile diagnosi fu che era diabetico. Non ci avrebbe mai permesso alcun tipo di terapia a base di insulina (iniezioni due volte al giorno, mi risulta), quindi decidemmo di comune accordo (noi e lui) di accompagnarlo dolcemente nell’ultima parte della sua vita con una terapia omeopatica che lo stabilizzasse un po’ (anche caratterialmente) e non lo facesse soffrire. Funzionò davvero bene (grazie DOTTORE buono!) e di questo ne fummo molto contenti.

La notte che se ne andò, successe il fatto che segnò il destino dei due fratelli. Pulce lo accompagnò con il consueto affetto e dedizione e fino all’ultimo istante gli fu sempre vicino ricoprendolo di leccatine affettuose che lui gradiva molto. Poi, una sera, smise di gradire e, per quanto potevamo capire noi, entrò in coma. Lo lasciammo disteso vicino al termosifone e andammo a dormire con un misto di tristezza e sollievo, poiché non ci sembrava sofferente.

La notte stessa, verso le quattro fummo svegliati da un urlo straziante e immediatamente pensammo all’unisono che forse Piccolo 1 aveva avuto un ripensamento improvviso, ma lo trovammo esattamente come era stato lasciato. Respirava molto debolmente; Pulce era lì al suo fianco che ci guardava e ripeté nuovamente l’urlo. Non avevamo mai pensato che fosse particolarmente intelligente, ma sono certo che in quel momento capì che il suo compagno se n’era andato.

Le chiavi di casa

Abbiamo una terrazza grande come un campo da calcetto e una gattaiola consente ai gatti di entrare e uscire a ogni ora del giorno e della notte. Sia Pulce che Piccolo 1 hanno sempre mostrato di apprezzare la nostra fiducia nei loro confronti e non hanno mai oltrepassato i confini di quella terrazza per avventurarsi nel giardino condominiale. Forse qualche volta avevano avuto la tentazione di farlo, ma in definitiva hanno seguito i nostri consigli e il loro spirito di avventura veniva soddisfatto dall’esplorazione delle terrazze vicine oppure da spericolate arrampicate sulla pompeiana (ovviamente condonata…).

L’arrivo di Piccolo 2 rimetteva in discussione il principio sacrosanto che non vale la pena di andare in giro in cerca di guai quando tutto quello che puoi desiderare è a portata di zampa. Quando decidemmo di affidare le chiavi della gattaiola ai due fratelloni, questi avevano pochi mesi, tanta energia da spendere e una dose di incoscienza tale da giustificare il fatto che un gatto in libertà ha un’aspettativa di vita di due anni e mezzo.

All’inizio l’accesso alla terrazza avvenne solo in nostra presenza e con una dose discreta di apprensione: quando salivano sul bordo li toglievamo con amorevole premura e quantità adeguate di raccomandazioni sui pericoli del mondo (anche se non ti ubriachi), ma Pulce risolse il problema: un giorno salì sulla muretta che delimita la terrazza e la percorse tutta (dico: tutta! Una specie di maratona per lei) fermandosi ogni due metri e segnando con il muso la posizione. Noi e i fratelli guardavamo affascinati la scena non credendo a tanta intelligenza e sensibilità.

Il fratello di Piccolo 2, che è il più intelligente, non è mai sceso; Piccolo 2, che è il più incosciente, lo fa ogni tanto e solo per farci vedere quanto è bravo a tornare su quando lo chiamiamo.

Il destino dei gatti

Come ho detto, il congedo di Piccolo 1 fu un vero trauma per Pulce. Da quel giorno, ogni benedetta notte che il Grande Gatto mandava sulla terra, alla stessa implacabile ora di quella notte, Pulce ripeteva l’urlo straziante e noi dovevamo alzarci per dimostrarle che eravamo vivi. Si tranquillizzava solo con un po’ di crocchini; oppure una razione di coccole; magari un po’ di latte. Insomma, qualsiasi cosa in grado di convincerla che noi stavamo bene e che nulla di male sarebbe successo a noi e a lei.

Dopo qualche mese eravamo distrutti dal sonno e assillati da pensieri oscuri e malvagi nei confronti di quella adorabile gattina e dell’ingombrante amore che provava per noi. Decidemmo perciò di darle un nuovo motivo di preoccupazione che impegnasse la sua testolina e soprattutto ci lasciasse dormire in santa pace. Quindi, a dir tutta la verità, noi volevamo un altro gatto. Invece fummo fortunati e i gatti furono due.

Ma un brutto giorno…

Come ho detto, i due fratelli erano e sono molto diversi e Piccolo 2, secondo me, è un vero gatto: non particolarmente espansivo ma neppure solitario, chiede ed elargisce le sue dosi quotidiane di coccole con lodevole impegno, mangia con convinzione e tutto sommato mostra di essere soddisfatto di tutto ciò che vede e possiede, compreso un fratello esuberante che, al contrario, è molto espansivo e chiacchierone, sinceramente entusiasta della vita e di noi umani (ma solo noi due, ché gli altri non li vuole proprio vedere).

I due non posso essere più diversi eppure così amorevolmente uniti nel piacere, ricambiato, di condividere la loro fratellanza di sangue con la nostra convivenza di fatto.

Ma, come avrete capito dal titoletto, la vita non può andare sempre bene e prima o poi devi fare i conti con l’uccellino Padùlo che, nel caso in questione, si posò un brutto giorno su Piccolo 2. La prima volta lo fece con maligna delicatezza, procurandogli un fastidioso zoppicare causato da una minuscola ferita annidata nel polpastrello di una delle zampe anteriori. Non demmo particolare importanza a ciò che pensavamo fossero gli esiti di uno dei giochi vivaci a cui si dedicavano spesso i due fratelli.

La volta successiva invece si palesò con una piccola pustola sulla coscia che attribuimmo ancora una volta a un gioco poco gradito e non condiviso, questa volta con qualche insetto di passaggio. Anche in questa occasione restammo dunque inerti con un placido sorriso stampato sul faccione a guardare con ammirazione il volo degli altri uccelletti che allietavano la ridente primavera del 2020. La malinconica espressione che Piccolo 2 cominciava ad assumere venne derubricata a “manifestazione caratteriale di scarsa esuberanza affettiva”, come spesso succede nei gatti.

L’uccelletto Padùlo tornò ancora molte e molte volte, affondando con sempre maggior decisione il becco affilato nelle povere carni del nostro adorato micetto: tutto il suo corpo cominciò così a ricoprirsi di orrende pustole sanguinolente che emettevano un fetido odore di marcio che, grazie agli abbondanti flussi essudativi, impregnava ogni angolo del nostro povero (ma onesto!) salotto di casa. La sua espressione era sempre più triste e il soprannome di ‘lebbroso’ con il quale ci rivolgevamo a lui non contribuiva a migliorare la sua autostima.

Ci facemmo coraggio, demolimmo con fiera onestà intellettuale la nostra sgangherata diagnosi e decidemmo finalmente di portare il paziente dal veterinario. Guardò Piccolo 2, esaminò le pustole molto attentamente (noi trattenevamo invece il fiato, perché l’odore era davvero insopportabile), prelevò qualche campioncino (che ci augurammo silenziosamente fosse delle stesse dimensioni del conto finale) e tornò dopo brevissimo tempo con il responso: GRANULOMA EOSINOFILICO.

Non avevamo la più pallida idea di cosa fosse ma guardammo con aria accusatoria Piccolo 2 e come tutti i bravi genitori sibilammo all’unisono: «Con chi sei uscito per prenderti quella roba?!».

Lo sguardo del veterinario non cambiò espressione e affondò il colpo definitivo: «È proprio una butta bestia!». Io e Roberta fummo sorpresi da tanta franchezza, ma guardando di nuovo il bambino dovemmo convenire con lui che in quel momento non sembrava davvero una bellezza. Quando chiarì che si riferiva alla malattia e non al malato non ci sentimmo comunque meglio. Assumendo un’aria seria e interessata ci preparammo al peggio.

«Il Granuloma eosinofilico è una malattia cronica del sistema immunitario, subdola e difficile da curare, non guaribile perché ha una base allergica, autoimmune e genetica. Tradizionalmente è tenuta sotto controllo con prolungate e costose cure (inarcammo con moderazione le nostre tre coppie di sopracciglia; anche Piccolo 2) a base di cortisone, antistaminici, integratori e nei casi più gravi anche antibiotici (le infezioni secondarie…).»

Forse aggiunse altro, ma a noi bastò e da bravi cialtroni chiedemmo all’unisono (solo io e Roberta): «Quanto costose?! Ci sono cure alternative (… meno costose? Questo lo pensammo solo)??»

Il veterinario ci guardò benevolmente, riservando a Piccolo 2 uno sguardo di commiserazione (per i genitori che si ritrovava):

– Ci sarebbe…
– Ci sarebbe? -chiesi io.
– Ci sarebbe -riprese lui- …

Insomma, ve la faccio breve, era sempre LUI! Come in un film Il ritorno del veterinario omeopata: «Ma quali corticosteroidi… antibiotici… biopsie e autopsie… Il problema è il sistema immunitario, diamogli le giuste istruzioni e vedrete che impara!»

Si va dunque con acqua, benedetta dall’intelligenza e lungimiranza dei saggi medici dell’antichità! Ottenuta la diagnosi; formulata la cura; pagato il dovuto, tornammo dunque lietamente a casa intonando canti felici contrappuntati dai miagolii di Piccolo 2 che ricordavano vagamente quelli di Piccolo 1 rinchiuso nel bauletto della moto.

Le cure di Piccolo 2

Sia gli umani che i gatti quando stanno male diventano di cattivo umore e l’unica cosa che desiderano è essere lasciati in pace. La differenza principale è che i gatti quando sono di cattivo umore e vogliono essere lasciati in pace, se cerchi di dargli qualcosa che li faccia star meglio si incazzano (questo anche gli umani) e tirano fuori denti e artigli (questo solo alcuni umani; e anche questo lo so per esperienza).

Tutto quello che so sulla cura dei gatti me lo ha insegnato Piccolo 1. Quando ha cominciato a star male era relativamente vecchio, un po’ più domestico, ma non meno combattivo; mi dava quindi tre possibilità: mi prendi di sorpresa perché sto dormendo; mi prendi di sorpresa perché mi aspetto un coccolo; non mi freghi più.

Quando si arrivava all’ultima possibilità iniziava la fase due del nostro intenso rapporto. Basta trucchetti e parole dolci: tanta (tantissima!) pazienza e una discreta dose di tempo libero. In genere funzionava; quando non funzionava valeva il detto: “meglio poco che nulla” (tradotto: una innaffiata di 5cc in direzione della bocca e un solenne va! fanciullo…).

Con il malinconico e affettuoso Piccolo 2 l’approccio è stato lo stesso ma le reazioni, va detto a suo merito, sono state encomiabili: arrivati al terzo tentativo, si limitava a farmi girare un po’ a vuoto per la terrazza e poi si rifugiava sotto il letto dove aspettava paziente che lo recuperassi per farsi sgargarozzare (è un neologismo coniato da me; non preoccupatevi se il correttore segnala errore) il liquido miracoloso (che gli scettici continuano a chiamare “acqua fresca e neppure tanto”).

Il risultato fu sorprendente, anche se, lo confesso, dopo la prima somministrazione rimasi cinque minuti buoni a vedere se le ferite si rimarginavano miracolosamente.

A dicembre dello stesso anno comunicavamo trionfanti che Piccolo 2 aveva smesso di puzzare, le ferite si erano cicatrizzate completamente, il suo naturale buonumore era tornato e anche il nostro aveva puntato l’indice verso la zona verde. Alcuni cordoni cicatriziali che si sentivano sotto il pelo invernale era ciò che restava a ricordarci quella che pensavamo ingenuamente fosse solo una brutta avventura da dimenticare.

La malattia di Piccolo 2

Ma LUI ce lo aveva detto: è una brutta bestia (la malattia)!

E infatti, puntuale e implacabile come il rappresentante della Fo…etto, nel febbraio del 2021 l’uccelletto del malaugurio bussò nuovamente alla nostra finestra e Piccolo 2 (beata ingenuità…) la aprì. Si ripresentarono copiosi sanguinamenti e maleodoranti essudazioni che inondarono il nostro povero, onesto (ma non più dignitoso) salotto.

Questa volta però eravamo preparati, almeno dal punto di vista organizzativo, se non psicologico. Anche Piccolo 2 però era preparato, in maniera insperata devo dire: aveva completamente riconsiderato il suo rapporto con il rimedio omeopatico e cominciava a trovare persino divertente il gargarismo con i 5 cc di acquetta santa (forse perché diluiti in modesta quantità di alcool) e quindi, dopo poche settimane la situazione era tornata nuovamente sotto controllo sia dal punto di vista estetico che olfattivo e, cosa importante, Piccolo 2 non sembrava più particolarmente preoccupato della presenza discreta ma fastidiosa dell’uccellino Padùlo.

Nell’aprile del 2023, complice anche la nostra inguaribile taccagneria e cialtroneria, azzardammo la domanda più importante: e se provassimo a vedere cosa succede adesso senza la curetta miracolosa? Il nostro (miserabile) tentativo di risparmiare qualche eurino fu ricompensato da una guarigione convinta e spontanea, accompagnata dal suo buonumore sempre più contagioso (quello sì!) indirizzato al fratello di sangue e al resto del branco umano.

Congedo

Nel frattempo Pulce ha comunicato la sua decisione di mettersi in congedo illimitato. Ha dato una settimana di preavviso durante la quale ha cominciato a mangiare sempre meno e ad abbeverarsi alla ciotola anziché direttamente “a canna” dal lavandino. Dopo vent’anni di onorato servizio non ce la siamo sentita di negarle il meritato riposo e tutti noi con dolcezza e affetto l’abbiamo accompagnata verso la pensione definitiva.

L’ultimo giorno di servizio è venuta a riscuotere la consueta razione di coccole e ha elargito ai due fratelli la quotidiana razione di leccatine. Prima di andare a dormire erano tutti e tre abbracciati tranquillamente sul divano. Al mattino, prima del nostro risveglio, con le ultime energie che le erano rimaste è uscita dignitosamente di casa ed è entrata nella cassetta della sabbia (che per fortuna era stata appena pulita) dove l’abbiamo trovata poco dopo.

In genere si dice che gli animali di casa quando ci abbandonano lasciano un grande vuoto. Per Pulce, in un certo senso, questo non è avvenuto perché ci ha lasciato due splendidi gattoni che hanno fatto tesoro dei suoi insegnamenti: Piccolo 2 da allora si è volentieri appropriato anche della sua dose di coccole quotidiane e il fratellone saggio si fa carico di ricordarci ogni giorno (con maggior discrezione e tatto, ma con altrettanta puntualità) che la pappa è necessaria e gradita.

Buona vita!